
La mia famiglia è depositaria di un archivio storico, riconosciuto dal Ministero, che si dispiega in un arco di tempo che va dalla metà del ’800 ai primi del ’900. Si tratta del periodo in cui il mio nonno paterno, Luigi Capucci, nato a Lugo di Romagna nel 1857, ingegnere civile, abbandona una vita tranquilla per partire a 27 anni alla volta dell’Africa, un continente allora quasi sconosciuto. È il 1884, dalla nave Giava scrive al padre: “Che si dice di me in Lugo? Che sono matto, non è vero? Lasciate dire, perché assai probabilmente potrò provare loro il contrario. […] Sono le dieci e mezza del primo Dicembre e voi probabilmente state arrostendovi gli stinchi al fuoco del camino, mentre fuori la brina biancheggia ancora; ed io sono in vista della costa africana, e mi viene voglia di togliermi la giubba perché ho caldo. Evviva l’Africa! E arrivederci.” [1]

Da Nicola Lazzaro, “L’ingegnere Capucci alla corte di Menelik”, in La guerra Italo-Abissina, Milano, Treves, 1896, n. 7, p. 50
Tornerà in Italia solo sporadicamente, in Africa morirà nel 1920 e là, a Gibuti, è sepolto (ne ho parlato anche in un articolo di qualche anno fa). Nel centenario della morte vogliamo dare un adeguato rilievo e una degna destinazione alla sua storia, e questo processo di verifica e narrazione ha coinvolto anche me.
La figura del nonno e la sua attività di esploratore si incrociano profondamente con la storia dell’Etiopia e con gli eventi della prima colonizzazione italiana nel Corno d’Africa, area divenuta, specialmente dopo l’apertura del Canale di Suez nel 1869, di rilevante importanza strategica e commerciale. Alla fine del 1885 Luigi Capucci arriva alla corte di Menelik, con il quale instaura un ottimo rapporto e del quale in seguito sposerà una nipote con cui avrà quattro figli. Riceve e porta a termine delle commesse per diverse costruzioni, tra cui il palazzo imperiale di Addis Abeba, ma anche mulini, strade, ponti, chiese…

Luigi Capucci con la moglie e due dei quattro figli (circa 1903)
Nell’Agosto 1889, al termine della guerra italo-abissina, il nonno guida in Italia la missione per risolvere le controversie sul Trattato di Uccialli, missione ricevuta dal Presidente del Consiglio Francesco Crispi e dal Re d’Italia Umberto I. Tiene delle conferenze ma nonostante la fama torna in Africa nel Dicembre dello stesso anno: “L’Africa mi attira, non saprei più vivere in Italia: di più ho colà tutti i miei interessi, il Negus mi vede benissimo, la popolazione mi ama e nulla mi manca”. [2]

Lettera in amarico. Luigi Capucci conosceva bene la lingua e le usanze locali
Quando crescono le tensioni tra Italia ed Etiopia è l’unico italiano a rimanere e rappresentare il Governo Italiano. Viene incaricato di svolgere attività di informazione e lo fa inviando documenti cifrati nascosti nel bastone cavo di un lebbroso, ma viene scoperto: è il 1895, è arrestato e condotto a processo in catene davanti a Menelik con l’accusa di spionaggio, di cui si riconosce colpevole. La corte è composta anche dai rappresentanti delle potenze coloniali di quella parte dell’Africa, che per contrastare la presenza italiana in Etiopia non vogliono lasciarsi sfuggire l’occasione di colpire una delle figure più significative, dunque si pronunciano per la condanna a morte. Ma Menelik commuta la pena nella reclusione a vita in un’amba su un’altura, in un luogo sperduto dell’altopiano etiopico, sotto stretta sorveglianza.

Luigi Capucci a processo in catene davanti a Menelik (immagine pubblicata su La Tribuna, Supplemento illustrato della Domenica, n. 31, 4 Agosto 1895, p. 248)
In Italia la notizia del processo e della prigionia è oggetto di due interrogazioni parlamentari. Dopo quattro mesi il nonno riesce a evadere grazie a un piano di fuga preparato dalla moglie, ma la corda è troppo corta, si lascia cadere e si procura una distorsione, viene ripreso e nuovamente imprigionato, questa volta incatenato a un piede e a un polso. A lui e alla moglie vengono confiscati tutti gli averi. Non si lamenterà mai della prigionia, sarà finalmente liberato dopo diciotto mesi, nel Gennaio 1897, dopo la fine della Guerra di Abissinia con la sconfitta di Adua e la pace di Addis Abeba.

Augusto Valli, Aussa. Luigi Capucci e Anacleto Gagliardi, 1890 circa, olio su tavola, Museo Civico d’Arte, Modena
L’archivio famigliare, agibile e periodicamente visitato da studiosi e storici, è costituito da numerosi documenti di corrispondenza postale (all’epoca la principale forma di comunicazione a distanza), articoli di giornale, immagini, fotografie e oggetti. In occasione del centenario della morte vorremmo restituire valore a quei contenuti, orientandoli al futuro (li stiamo digitalizzando). Il Comune di Lugo, da cui proviene la famiglia, si è dimostrato interessato: il fondo verrà conferito alla biblioteca, in prospettiva, con l’intervento di uno storico, c’è il progetto di realizzare una pubblicazione e al nonno sarà intitolata una rotonda. Nel frattempo sono usciti anche alcuni articoli, su Il Resto del Carlino e su Il Romagnolo, che raccontano la figura del nonno.
Articolo_Carlino
Grazie all’apporto dei documenti dell’archivio famigliare la narrazione storica di Luigi Capucci sarà arricchita, aggiornata, quando non riscritta in alcune parti. Oltre alla dimensione storica, tuttavia, mi incuriosiscono i periodi meno noti della sua vita. Vorrei cercare di capire le idee, le ragioni che hanno guidato le sue scelte, le passioni, le sofferenze, per provare di capire meglio l’“avventura mortale” di una persona che ammiro, da cui inevitabilmente discendo, che costituisce la ragione profonda e ineludibile della mia esistenza e forse anche dell’essere-chi-sono, con cui condivido per sempre una memoria biologica, genetica, a lunghissimo termine, molto più resistente, definitiva, assoluta, rispetto a quella simbolica. Ma nel contempo anche qualcuno che non ho mai conosciuto, che è vissuto in un altro mondo decenni prima che io nascessi, con cui non ho mai avuto alcun rapporto diretto. Dietro alla narrazione della storia, che mette in fila in modo rigoroso, ordinato e asettico date, nomi ed eventi, si agitano le questioni personali, i dubbi, le passioni, gli entusiasmi, i ripensamenti, le delusioni… Ecco: mi piacerebbe anche provare a dare voce a una sorta di narrazione dell’affettività. Mi è stato spesso suggerito di scrivere un romanzo su quella vita intensa e avventurosa: rispetto a un testo di storia in un romanzo gli aspetti personali, privati, hanno un rilievo diverso. Ma sarebbe anche interessante realizzare un video o un film, ripercorrendo le tracce del nonno, compiendo finalmente quel viaggio che per varie ragioni mio padre non è mai riuscito a fare, rivisitando luoghi, richiamando personaggi, rievocando situazioni, rivivendo emozioni… Verso quelle radici da cui non posso liberarmi.
- La copertina de Il Romagnolo, n. 216, Settembre 2020
- La prima pagina dell’articolo di Monia Savioli
Note
1) Lettera al padre, 30 Novembre 1884. Archivio Capucci, Belricetto. [back]
2) Nicola Lazzaro, “L’ingegnere Capucci alla corte di Menelik”, in La guerra Italo-Abissina, Milano, Treves, 1896, n. 7, p. 50.[back]