
Italiano [English below]
La dimensione tecnoscientifica riveste oggi un ruolo centrale nelle società e nella vita delle persone, in moltissimi campi dalla salute alla comunicazione, dalla sicurezza alla mobilità. Le teorie, gli oggetti, gli obiettivi e i risultati delle scienze sono spesso di difficile comprensione per i non esperti e per l’opinione pubblica, e, come tutte le cose misteriose, possono alimentare dei pregiudizi, creare avversione. La scienza appare come un castello misterioso in cima a una montagna che nasconde oscuri progetti e obiettivi, distante dal mondo nella sua incomunicabilità, con gli scienziati che talvolta fanno di tutto per inverare questa immagine. Le persone, per ragioni diverse e non tutte infondate, spesso provano indifferenza, sfiducia o addirittura rigetto nei confronti della scienza. Una adeguata e corretta comunicazione scientifica è dunque oggi cruciale, fondamentale per divulgare, o, se si preferisce, mediare, il lavoro della scienza e degli scienziati, e correggere una relazione che spesso si rivela precaria e pregiudiziale (si è discusso di questo argomento anche su Noema).
In questa direzione da qualche anno opera un gruppo di persone, provenienti dall’ambito scientifico, interessate a discutere sul ruolo, i contenuti, le funzioni, le metodologie e i linguaggi del giornalismo scientifico, animando una riflessione su questi temi anche mediante un festival sulla comunicazione scientifica giunto quest’anno alla seconda edizione: “Strambinaria. Folle di Scienza”, di cui Noema è media partner. Questo gruppo si propone inoltre di avviare un confronto transdisciplinare tra campi di ricerca in qualche modo affini, come la sociologia dei media, la filosofia della scienza, la museologia, la comunicazione tecnologica e la ricerca artistica, organizzando degli incontri. L’obiettivo è individuare strumenti e dispositivi di comunicazione, di natura teorica e pratica, utili alla qualità e all’efficacia della divulgazione scientifica, non solo per i media ma anche per progetti di installazioni ed exhibit in musei e mostre e per collaborazioni di varia natura sulla comunicazione della scienza.
Il primo incontro, a cui sono stato invitato, si è svolto a Torino, sede del gruppo, e quelle che seguono sono alcune riflessioni che uno sguardo dall’esterno mi ha suggerito. Probabilmente chi si occupa professionalmente di comunicazione le troverà banali, ma non sono affatto scontate per chi proviene da altri settori.
La “divulgazione”, anche se ad alcuni il termine non piace, comporta varie problematiche, per la formazione degli stessi comunicatori, quasi sempre di provenienza scientifica: una formazione nell’ambito delle scienze fisiche non implica competenze nel campo, per esempio, dell’antropologia. Poi è fondamentale inquadrarsi nelle dinamiche della comunicazione, cosa che, per scarsa conoscenza o per presunzione, viene talvolta sottovalutata, ignorando metodologie e finalità. Vale ricordare che, operando nell’ambito della divulgazione scientifica, di fatto si agisce come giornalisti, comunicatori, non come scienziati o ricercatori: è un altro mestiere. E al di là del valore delle conoscenze acquisite nel curriculum, la provenienza dall’ambito scientifico di per sé non garantisce automaticamente dei titoli nel campo della comunicazione.
Il secondo punto riguarda la conoscenza e l’uso dei media. Oggi operare come giornalisti significa confrontarsi con un vasto e articolato panorama mediale che va dai media tradizionali, come stampa, televisione e radio, ai new media, come Web, social media, media interattivi, ciascuno dei quali con proprie varianti, propri formati e proprie peculiarità. Detto altrimenti: sono necessarie delle competenze comunicative che richiedono approcci, linguaggi e metodologie anche molto diversi, che non possono essere improvvisate.
Il terzo punto riguarda il rapporto con il target, perché anche la comunicazione scientifica non può sottovalutare la sua destinazione. Per fare solo qualche esempio: i destinatari sono altri scienziati? È un pubblico di addetti ai lavori? Sono altri giornalisti? Sono degli studenti – di quale età e scolarità? Sono degli appassionati di argomenti scientifici? Sono dei politici? È un pubblico generalista? Mediante quali canali li si raggiunge? Di queste differenze è fondamentale tenere conto nel costruire e veicolare la comunicazione.
È ovvio che – se ne è discusso nel primo incontro – se un programma televisivo di divulgazione scientifica viene spostato da RAI 3 a RAI 1 in prima fascia, gli argomenti, i contenuti, le dinamiche narrative, il registro comunicativo, inevitabilmente devono adattarsi a un pubblico diverso, per quantità, composizione, abitudini, interessi e aspettative. Come ogni altro programma televisivo, per sopravvivere è necessario raggiungere una certa quantità di audience, bisogna trovare un equilibrio tra qualità dei contenuti e livello di divulgazione, si devono creare delle narrazioni capaci di interessare un fruitore che può scegliere tra un’enorme offerta di titoli, media, canali e formati comunicativi. È meglio un programma scientifico che opera dei compromessi o nessun programma scientifico? In termini più nobili: è possibile fare della buona divulgazione scientifica che sia anche interessante? Personalmente ne sono convinto, anche se non è facile perché l’equilibrio tra forma e contenuto è reso sempre più complicato dalla molteplicità dei media, dei formati, delle loro peculiarità e delle loro interazioni, e oggi dalla loro tendenza a mutare rapidamente, a trasformarsi continuamente.
Bisogna, insomma, abbandonare l’idea, ancora molto diffusa, che i contenuti, di per sé, siano sufficienti. Come Marshall McLuhan, più di 50 anni fa, aveva capito, non conta solo il contenuto del messaggio, ma anche il modo in cui questo contenuto viene veicolato (e, per inciso, questo vale per tutte le forme di comunicazione, anche per quelle dirette, personali, nei nostri rapporti quotidiani, più o meno mediati, con gli altri).
Ci si potrebbe chiedere se tenere troppo conto dei destinatari, operando dei compromessi, rischi di appiattire l’informazione, adeguando, e magari limitando, la qualità dei contenuti se non addirittura la loro validità scientifica. Una divulgazione scientifica così prona ai destinatari avrebbe ancora senso? Dipende dal compromesso e dalle capacità dei comunicatori. Nel delicato equilibrio, inquadrato nel contesto del mezzo utilizzato, tra informazione e narrazione, tra esattezza e meraviglia, è compresa l’efficacia della divulgazione scientifica. Potrebbe essere l’oggetto di un prossimo intervento.
The technoscientific dimension today plays a central role in society and in people’s lives, in many fields from health to communication, from security to mobility. Theories, objects, goals and outcomes of the sciences are often difficult to understand for non-experts and for the public opinion, and, like all mysterious things, they can feed prejudices, create aversion. Science appears as a mysterious castle on top of a mountain, that hides obscure projects and objectives, far from the world in its lack of communication, with the scientists who sometimes foster this picture. Because of various and not all groundless reasons, people often feel indifference, distrust or even rejection for science. Therefore, an adequate and correct scientific communication is crucial today, it is fundamental for divulging, or, if you prefer, mediating, the work of science and scientists, and correcting a relationship that often proves to be precarious and prejudicial (we have debated on this topic also in Noema, in Italian).
A group of people from the scientific realm has been working in this direction for some years. They are interested in studying the role, contents, functions, methodologies and languages of scientific journalism, encouraging a reflection on these issues also through a festival about scientific communication, this year at the second edition: “Strambinaria. Folle di Scienza“, of which Noema is a media partner. This group also proposes to start a transdisciplinary discussion among different disciplines and research fields – such as sociology of the media, philosophy of science, museology, technological communication and artistic research. The aim is to identify theoretical and practical tools and communication devices which can be useful for the quality and effectiveness of scientific journalism, not only for the media but also for installations in museums and exhibitions, and more in general for collaborations of any nature on science communication.
I was invited to the first meeting, that took place in Turin, home of the group, and those that follow are some reflections that a look from the outside has suggested to me. Probably those who deal professionally with communication will find them trivial, but they are not at all obvious for those coming from other realms.
The dissemination of scientific knowledge involves various issues, starting from the different curricula of the communicators, although generally sharing a scientific origin: in fact, a training in physics does not imply skills in the field, for example, of anthropology. Moreover, it is essential to know the dynamics of communication: indeed they are sometimes underestimated by ignoring methodologies and purposes, because of lack of knowledge and even presumption. It is important to remember that, working in the field of scientific divulgation means acting as journalists, communicators, and not as scientists or researchers: it is a different profession. And, beyond the value of the knowledge acquired in the curriculum of studies, coming from the scientific field does not automatically guarantee in itself any titles in the communication field.
The second issue concerns the knowledge and use of the media. Today working as journalists means working in a vast and intricate media landscape that ranges from traditional media, such as press, television and radio, to new media, such as the Web, social media, interactive media, each one with its own variations, its own formats and peculiarities. This requires communication skills based on very different approaches, languages and methodologies, that can not be improvised.
The third issue concerns the relationship with the target, because also the scientific communication can not underestimate its destination. To give just a few examples: are the recipients other scientists? Is it an audience of insiders? Are they journalists? Are they students – what age and education? Are they fans of scientific topics? Are they politicians? Is it a generalist audience? Through which channels is it reachable? It is essential to take these differences into account when making and releasing a communication construct.
It is obvious that – this was discussed in the meeting – if a scientific TV program is moved from RAI 3 to RAI 1 (that is to the major popular Italian state television channel), in prime time, the topics, the contents, the narratives, the communicative tone, inevitably must adapt to an audience which is different in terms of quantity, composition, habits, interests and expectations. Like any other TV program, in order to survive it has to reach a certain amount of audience, finding a balance between the quality of the content and the level of disclosure, creating narrations capable of affecting a user who can choose among a huge supply of programs, media, channels and formats. Is it better to have a scientific program that makes compromises or no scientific program at all? In nobler terms: is it possible to make a valuable science communication that can be also popular? I think yes, although it is not easy since the balance between form and content is increasingly complicated by the multiplicity of the media, of the formats, and by their peculiarities and interactions. And today also by their tendency to rapidly and continuously change.
In short, it should be abandoned the idea, still very common, that the content, in itself, can be enough. As more than 50 years ago Marshall McLuhan noted, it is not only the content of the message that matters, but also the way in which this content is communicated (and, incidentally, this applies to all communication forms, also in our direct or more or less mediated daily personal relationships with other people).
A question could be: taking too much into account the audience and in making compromises, could this rise the risk of impoverishing the information, adapting, and maybe reducing, the quality of the content and even its scientific validity? Would it make sense making science communication so prone to the general public? Well, it depends on the compromises and on the skills of the journalists. The effectiveness of the scientific divulgation resides the delicate balance, framed in the context of the used medium, between information and narration, accuracy and wonder. It could be the topic of upcoming reflections.