Come ho scritto nel post precedente, quest’anno sono stato invitato a due eventi del Festival della Complessità, “il festival a km 0”, che si propone di diffondere nel nostro Paese le tematiche della complessità e dei sistemi complessi. A Bologna, il 12 Maggio, presso Le Serre dei Giardini Margherita, a cura di Simonetta Simoni, sul tema “Le vite degli scarti. I ‘piccoli mondi’ di ciò che finisce nei rifiuti“, con, oltre che la curatrice, Simonetta Tunesi, University College London, tra le massime esperte italiane di gestione dei rifiuti, Lucrezia Lamastra, ricercatrice della Facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali dell’Università Cattolica Sacro Cuore di Piacenza, e Federico Neresini, docente di Scienza, tecnologia e società all’Università di Padova. Il mio intervento si intitolava “Culture degli scarti”, e cercava di tratteggiare la complessità attraverso una lettura degli scarti e dei rifiuti collegata al rapporto dell’umano con le altre specie viventi e con l’ambiente, con le interpretazioni e le difficoltà che questi concetti incontrano all’interno del sociale e della cultura, e di come la creazione artistica se ne è appropriata.

Accanto a questi aspetti ho cercato di evidenziare le relazioni tra i processi di degradazione dell’ambiente e i cambiamenti climatici, un argomento a cui attualmente sono molto sensibile, a cui abbiamo pensato di dare un rilievo particolare dedicandovi, nell’ambito di art*science, un programma pluriennale sul tema “Art & Climate Change”.

Il secondo appuntamento al quale sono stato invitato è stato il 23 Maggio, a Pordenone, presso il Consorzio Universitario, a cura di Giuseppe Marinelli De Marco, sul tema “La Complessità come problema, sistema e risorsa“. Oltre al curatore sono intervenuti Alberto De Toni, Magnifico Rettore dell’Università di Udine, Mario Casini, membro del Festival della Complessità, Lia Correzzola, Presidente dell’Associazione Culturale Pordenone Design e Presidente dei Giovani Industriali, e Roberto Siagri, CEO di Eurotech Spa.

Ho intitolato il mio intervento “Complessità, infoscapes, creatività”, facendolo vertere, tra gli argomenti affrontati, sulla tendenza alla complessità delle tecnologie contemporanee: a) nella rincorsa alla simulazione o all’emulazione del comportamento, delle processualità e/o dell’apparenza del vivente, per quanto riguarda le discipline e le tecnologie a base digitale (Algoritmi, Big Data, Internet of Things/Internet of Everything, Intelligenza Artificiale, Vita Artificiale, Robotica); b) nell’ibridazione di alcune di queste con elementi organici, con esiti che dunque uniscono organico e inorganico (biorobotica, organismi modificati e ibridi); c) nell’impiego di materiali e tecnologie a base organica, tipiche del vivente (Biotecnologie, Ingegneria Genetica, Vita e biologia sintetica, De-extinction).

Questo percorso verso il vivente, utile per governare la complessità del mondo, può essere definito “dal complicato al complesso”, essendo la complessità un tratto tipico del vivente e della sua capacità di interagire ed evolversi con il contesto ambientale nel quale è collocato, dove si è evoluto. L’apporto delle discipline umanistiche al campo della formazione scientifica, che è alla base di questi processi, è a mio avviso fondamentale, per varie ragioni che ho spesso descritto, per esempio qui.

Questo approccio viene evidenziato dai numerosi programmi arte/scienza sviluppati in varie istituzioni nel mondo – diversi sono attivati e finanziati dalla CE e ne abbiamo parlato sia su questo sito che su Noema – e dalla discussione sull’inserimento di materie di natura umanistica, come arte, filosofia e design, all’interno dei curricula scientifici: un percorso che negli Stati Uniti viene spesso chiamato “from STEM to STEAM” (essendo STEM l’acronimo di Science, Technology, Engineering and Mathematics e STEAM l’acronimo di Science, Technology, Engineering, Art and Mathematics), sulla fusione dei modi di conoscenza, che è basato sul concetto di consilience (convergenza), introdotto da Edward Wilson nel 1998 [Edward O. Wilson, Consilience: The Unity of Knowledge, New York, Vintage Books, 1998]. Concetto ripreso nel 2011 da Slingerland e Collard [Edward Slingerland, Mark Collard (a cura di), Creating Consilience: Integrating the Sciences and the Humanities, Oxford, Oxford University Press, 2011].

Questo percorso delle tecnoscienze verso il vivente porta a quella che ho chiamato “Terza Vita”, la vita delle entità e degli organismi creati dalla cultura umana, essendo la “Prima Vita” la vita biologica e la “Seconda Vita” la vita nella dimensione simbolica. Si tratta di un percorso di ricerca che, a partire dal 2008, ho presentato in numerose conferenze internazionali e che è stato pubblicato in varie lingue (per esempio qui, qui e qui).