
Noema ha appena pubblicato un articolo di Ignazio Licata, “L’Ambiente Dentro. Una riflessione epistemologica sul confine / Environment Inside. An Epistemological Reflection on the Border”. Il testo, in italiano, riflette sui “rapporti transdisciplinari tra scienze ‘hard’ e ‘soft’”, due narrazioni sovente in opposizione che pongono il soggetto umano e il suo rilievo all’interno della loro operatività in posizioni molto diverse. È un tema antico, che tuttavia in anni recenti ha riguadagnato la ribalta per la rapida evoluzione e diffusione delle discipline scientifiche e tecnologiche in alcune parti del mondo. Questa relazione possiede anche diverse filiazioni, come, per esempio, il rapporto tra arte e scienza, sul quale insiste per varie ragioni anche la Comunità Europea sostenendo numerosi progetti transnazionali che vedono collaborare queste due discipline e operatività.
Licata scrive:
«La storia dei rapporti transdisciplinari tra scienze “hard” e “soft” è ricca più di scontri che di incontri, ed è stato necessario lo sviluppo di una diversa sensibilità epistemologica per intaccare e sfumare quella che di fatto si è sempre manifestata come netta dicotomia. Da una parte le scienze “hard”, grazie un metodo rubato a chissà quale iperuranio, trivellano la realtà svelandone progressivamente le “leggi” per ordinarle poi in una successione asintotica che punta diritta verso una “teoria del tutto”, quell’’occhio di Dio” puramente matematico da cui tutto può essere derivato. Dall’altra le scienze soft, che con pasticciata empiria indagano la complessità di un soggetto “puntiforme”, invisibile per il mondo fisico. Si tratta, com’è evidente, di una riproposizione del classico tema cartesiano della res cogitans / res extensa, più volte contestato ma ormai pervasivo e persistente nell’immaginario collettivo tanto quanto il suo naturale corollario sulle “due culture”.
Eppure esiste una storia di avvicinamenti tra le filosofie dell’oggettivo e del soggettivo, viste come poli di una gamma continua di gradazioni d’approccio al mondo, e non come opposti. Si tratta di tentativi poco noti, diremmo quasi una storia sotterranea, tranne quando qualche reperto non viene tirato fuori per le grandi occasioni dei festival e in generale di tutte quelle forme di falsa ricomposizione mediatica delle contraddizioni e contrapposizioni che attraversano la vita personale e sociale.»
In questa relazione, spesso litigiosa quanto inevitabile, che attraversa la nostra visione del mondo e il nostro rapporto con l’ambiente, può comparire la bellezza. Come qualità salvifica, intuizione, conoscenza, pre-visione. Ma anche come capacità di declinare il presente al futuro liberandosi da eredità inservibili o dannose, re-immaginandosi, re-inventandosi… Un processo squisitamente umano, ma anche difficile per le differenze e spesso le intolleranze tra molteplici culture e narrazioni, e per il loro rapporto con l’ambiente in cui operano.
«Alla fine, come al principio, è sempre una questione di bellezza. Che forse salverà il mondo a patto di sapere di cosa stiamo parlando. Non di un like su fb, non di un assenso passivo all’arte o alla scienza storicizzata, “detta” e giudicata ancora prima di essere vissuta e compresa. La vera bellezza, in ogni campo, è realizzare come, in un dato momento storico e culturale, se il nostro occhio è acuto e la comprensione ampia e pulita, le mosse possibili non sono mai infinite come può sembrare all’occhio del dilettante, ma sono pochissime in realtà quelle efficaci. E tra queste ancora meno quelle praticabili. Se si adotta questo criterio di bellezza lentamente molti detriti e fantasmi che girano tra le maglie mainstream del nostro tempo si compattano ed assumono la consistenza di una richiesta inespressa, che riguarda in definitiva la sostenibilità del nostro stesso sentire. Prima di chiedersi infatti se “là fuori”, oltre il confine che separa l’uomo dall’ambiente che ha prodotto, è possibile costruire un’armonia diversa, bisogna prima chiedersi se siamo in grado di desiderarla davvero.»