[ITA] È uscito da poco per i tipi di CLUEB, nella collana <mediaversi> coprodotta da Noema, il volume di Eduardo Kac, Telepresenza e Bioarte. Interconnessioni in rete tra conigli, umani e robot, l’edizione italiana di quello che può essere considerato il suo libro più celebre, Telepresence & Bioart. Ho avuto il piacere di scrivere la prefazione, insieme a Franco Torriani, di cui ripropongo uno stralcio. A breve presenteremo pubblicamente il volume.
[ENG] It has just been published for CLUEB, in <mediaversi> series co-produced by Noema, Eduardo Kac’s book Telepresenza e Bioarte. Interconnessioni in rete tra conigli, umani e robot, which is the Italian edition of his probably most famous book Telepresence & Bioart. I had the pleasure to write the foreword, together with Franco Torriani, and here is a short excerpt (only in Italian). We will present the book to the public in some forthcoming dates.

 

Dialogismi e biopoetiche

La versione completa della prefazione si può scaricare da qui.

[…]

Il libro si svolge lungo due binari paralleli: da una parte esamina e documenta, inquadrandole storicamente e criticamente, varie forme artistiche in un percorso fenomenologico internazionale che attraversa il ‘900 collegando artisti e avanguardie. Un panorama dell’evoluzione della media art da un punto di vista privilegiato e, dagli anni ‘80 del ‘900, militante. Dall’altra affianca a questo percorso l’attività dell’autore, Eduardo Kac, artista brasiliano tra i più celebri, che nel corso della sua ricerca ha utilizzato varie tecniche e discipline in una costante relazione creativa con scienze e tecnologie. Questa seconda dimensione autobiografica è tuttavia parziale, dato che l’autore non prende in considerazione il periodo giovanile, come per esempio i “Pornograms”, performance intermediali che mixano fotografia, poesia e body politics. Nel lavoro di Kac la poesia ha sempre svolto un ruolo fondamentale ed è stata rappresentata in numerose forme con vari media e tecnologie. Nel libro, tuttavia, non compaiono le sperimentazioni con graffiti, fotografia, libri d’artista, poesia visiva, i lavori di “Media Poetry & Language Art”, quelli degli anni ‘80 e ‘90 del ‘900 con l’olografia (gli “Holopoems”) e quelli recenti di Olfactory Art1. Il suo interesse per la teoria della comunicazione, la linguistica, la semiotica e la filosofia, la sperimentazione con le tecnologie, la ricerca in discipline almeno in apparenza meno legate all’Hi-Tech, delineano a poco a poco la complessa personalità di Kac, il suo essere insieme artista, sperimentatore e autore di rango di scritti pervasi da uno sguardo storico e teorico non comune.

 

Telecomunicazioni, dialogismi e arte in internet

Il libro è diviso in tre parti principali. Una prima, “Telecomunicazioni, dialogismi e arte in internet”, affronta gli aspetti estetici delle telecomunicazioni, con un excursus che parte dalle applicazioni meno recenti (telegrafo, radio, telefono, xerografia, telegrafia, fax, mail art, videotext, satelliti) per arrivare alla televisione, al video, all’informatica e ai personal computer2. In questo percorso la radio è il “primo mezzo di comunicazione elettronico usato dagli artisti”3 e avviene la “trasformazione dell’artista in utente e viceversa”4, nel segno di una comunicazione che inizia a diventare pervasiva e ubiqua. Un percorso nel quale Kac individua le potenzialità della partecipazione, delle forme artistiche interattive (che egli chiama “arte elettronica dialogica”5) che tendono a limitare “l’enfasi della visualità per dare la precedenza a interrelazione e connettività”6, che giunge fino alle forme quasi contemporanee della net.art. Un percorso che supera l’idea tradizionale di un’arte da contemplare, che introduce l’utilizzo di strumenti e tecniche inconsueti per l’arte, anche da forzare al di là delle loro regole e finalità costitutive, che sviluppa una critica alla sempre più satura e opprimente infosfera quotidiana7.

Molto spazio in questa prima parte è dedicato all’arte interattiva. Kac è interessato soprattutto alla “dialogicità basata sulle telecomunicazioni, nella misura in cui supera i confini locali e rende possibili esperienze intersoggettive attraverso la rete su una scala globale”8. È l’arte del networking, che si contrappone alle “ideologie monologiche”9 incarnate dalla tradizionale trasmissione televisiva unidirezionale. Di questo “dialogismo” e delle sue potenzialità, che riemergono in varie parti del libro, Kac esamina gli elementi storici e filosofici fondanti del ‘900, soprattutto attraverso le idee di Buber, Bakhtin, Gablik e Flusser, e riprende alcune delle esperienze più interessanti degli anni ‘60 e ‘70 del medesimo secolo.

Gli eventi di telepresenza dialogica combinano il sé e l’altro in un interscambio continuo, dissolvendo la rigidità di queste posizioni proiettate da soggetti remoti. L’arte, da una parte condivide le preoccupazioni delle altre discipline e, dall’altra, ci offre modelli cognitivi con cui riflettere sugli aspetti sociali, politici, emozionali e filosofici della vita. Più l’arte elettronica impara dalle qualità affascinanti e imprevedibili dell’interazione conversazionale – con i suoi ritmi reciproci, il linguaggio del corpo, i modelli di discorso, il contatto visivo, il tatto, le esitazioni, le interruzioni improvvise, le modifiche di direzione e il flusso continuo – più si avvicinerà a indurci in un processo di negoziazione del significato. Questa è la vera chiamata dialogica dell’arte.10

In questo viaggio attraverso il ‘900 sono molte le esperienze citate, operanti in varie dimensioni espressive, a sottolineare lo statuto profondamente intermediale dell’arte contemporanea. Tra gli artisti Marinetti, Russolo, Duchamp, Moholy-Nagy, Fontana, l’E.A.T. di Kluver e Rauschenberg. E poi Paik, Cage, Wilson, Whitney, Csuri, Molnar, Mohr, Davies, Forest, Gilardi, Ascott, Orlan, Stelarc, Fujihata, per arrivare a Vesna, Sommerer & Mignonneau, Van Gogh TV, Ponton Medias, Novak, fino ai net.artisti jodi.org, Shulgin, Ćosić.

 

Arte della telepresenza e robotica

La seconda parte, “Arte della telepresenza e robotica”, affronta le potenzialità artistiche di queste due tecnologie. Kac estende il significato dell’arte della telepresenza definendola l’“integrazione di telecomunicazioni, robotica, interfacce uomo-macchina e computer”11, racchiudendola nella più ampia cornice dell’arte elettronica interattiva12. L’arte della telepresenza mette in luce gli aspetti di relazione, le opportunità dialogiche, può avere una valenza critica e sociale, è

[…] un mezzo per mettere in discussione le strutture di comunicazione unidirezionale che contrassegnano sia le belle arti tradizionali (pittura, scultura) sia i mezzi di comunicazione di massa (televisione, radio). Ritengo che l’arte della telepresenza sia una modalità per esprimere, a livello estetico, i cambiamenti culturali che controllo remoto, visione remota, telecinesi e scambio in tempo reale di informazioni audiovisive hanno portato con sé. Credo che l’arte della telepresenza sia una sfida alla natura teleologica della tecnologia. Per quanto mi riguarda, l’arte della telepresenza crea un contesto unico nel quale i partecipanti sono invitati a sperimentare mondi remoti da prospettive e scale diverse rispetto a quelle umane.13

Per Kac questo “spazio di reciprocità”, che a causa delle tecnologie digitali e della telepresenza conosce una profonda trasformazione, costituisce un elemento chiave. Lo “spazio reale” e la nozione stessa di distanza diventano progressivamente irrilevanti14, mentre l’immagine, e più in generale la narrazione, si sostituisce al reale attuando il predominio “dell’effetto del reale sul principio di realtà”15. Per Virilio, chiamato in causa da Kac, “la telerealtà cancella in tempo reale lo spazio reale di oggetti e luoghi […] e assistiamo alla continuità del tempo reale che supera la contiguità dello spazio reale”16. Temi cari anche a Baudrillard, un altro autore citato da Kac in questo contesto, e alla sua ossessione per la simulazione, per la sostituzione del reale da parte del virtuale17.

Le questioni inerenti alla relazione tra “reale e “virtuale” sono state ampiamente discusse soprattutto nella prima metà degli anni ‘90 del ‘900 (è infatti a tale periodo che risalgono i testi pubblicati in questa parte del libro)18. Rimane tuttavia un argomento che periodicamente ritorna, sia perché le dimensioni della simulazione – e della sua parente “behaviorista”, l’emulazione – sono oggi onnipresenti negli strumenti, nei dispositivi e nel mediascape, da pressoché tutti gli ambiti d’impiego delle immagini alla Robotica, all’Intelligenza Artificiale, alla Vita Artificiale. Sia perché, probabilmente, conferire realtà alla narrazione (immagini, credenze, ideologie, religioni…), costruire il reale a partire dal simbolico, più che una caratteristica delle tecnologie di rappresentazione costituisce una condizione generale peculiare della capacità simbolica umana, anche se indubbiamente le tecnologie più recenti hanno reso più evidenti questi aspetti. E la narrazione, territorio del simbolico, tende inevitabilmente a farsi sempre più mondo, luogo plurale e molteplice in cui trascorrere parti sempre più estese e importanti dell’esistenza.

Riecheggiando McLuhan, l’arte può diventare un dispositivo cognitivo fondamentale proprio grazie agli strumenti della contemporaneità, “per affrontare la complessità della nostra percezione nell’età dei media.”19

In questa sezione un capitolo è dedicato all’arte robotica. Negli ultimi decenni la Robotica ha conosciuto una crescita travolgente, e nelle sue diverse applicazioni e declinazioni – robotica industriale, robotica sociale, biorobotica, droni, veicoli autonomi, ecc. – si avvia a diventare un campo pervasivo e imprescindibile della vita quotidiana. La tendenza a delegare attività e operazioni ripetitive o inarrivabili a dispositivi esterni, che l’umanità ha creato e a cui ha conferito delle sue conoscenze, dei suoi saperi, è sempre esistita. Così come il tentativo di costruire delle entità simil-viventi, dei simulacri mitologici della vita umana e animale: dal Talos greco al Golem ebraico, agli automi medievali20, rinascimentali e settecenteschi, al Frankenstein ottocentesco, fino ai robot novecenteschi, agli androidi, ai cyborg e ai replicanti letterari e cinematografici, ai sofisticati robot sociali e industriali contemporanei, agli explorers inviati su Marte. I robot sono storicamente presenti in molte culture, dall’Europa all’Islam21, alla Cina, al Giappone. La Robotica è un territorio interdisciplinare che si estende dalle tradizioni mitologiche e storiche di varie culture alle narrazioni letterarie, teatrali (dove è stato coniato il termine “robot”22), cinematografiche e televisive, alle applicazioni industriali. Nel quale confluiscono molte discipline sia di natura umanistica, come linguistica, che scientifica, come biologia, fisiologia, psicologia, automazione, elettronica, Vita Artificiale, Intelligenza Artificiale, fisica, informatica, matematica, meccanica…

Kac ripercorre la storia dell’arte robotica (o “arte cibernetica”, come inizialmente era chiamata) a partire dalla fine degli anni ‘50 del ‘900 e dalle esperienze dell’arte cinetica. L’arte robotica si è spesso ibridata con altre forme espressive, come performance, installazioni, danza, teatro, telepresenza e con forme d’arte tradizionali. Il percorso delineato da Kac parte dai pionieri, tra i quali Nicolas Schöffer (CYSP I, 1956), Nam June Paik e Shuya Abe (Robot K-456, 1964), Tom Shannon (Squat, 1966), Edward Ihnatowicz (The Senster, 1969-70), Stelarc (The Third Hand, 1981), James Seawright (Electronic Garden II, 1982), Norman White (Helpless Robot, 1985), Marcel.lí Antúnez Roca e Sergi Jorda (Joan, l’Hombre de Carne, 1991), Ken Goldberg (TeleGarden, 1995), Simon Penny (Petit Mal, 1996), per giungere alle soglie della contemporaneità con Ulrike Gabriel, Ted Krueger, Ken Rinaldo, Chico MacMurtrie, Alan Rath, Luis Philippe Demers e Bill Vorn.

[…]

 

La versione completa della prefazione si può scaricare da qui.

 

Note

1Sulla ricerca artistica di Eduardo Kac si veda il suo sito personale, http://www.ekac.org (ultimo accesso 13/06/16).

2Sull’estetica della comunicazione e dei media è fondamentale in Italia il lavoro di Mario Costa. Si veda, per esempio L’estetica dei media. Tecnologie e produzione artistica, Lecce, Capone Editore, 1990.

3p. 18.

4p. 15.

5p. 98.

6Ibidem.

7p. 69. Su questi argomenti si veda anche Pier Luigi Capucci, Arte e tecnologie. Comunicazione estetica e tecnoscienze, Bologna L’Ortica, 1996, ripubblicato in formato eBook, https://stores.streetlib.com/it/pier-luigi-capucci/arte-and-tecnologie (ultimo accesso, 15/06/16).

8p. 99.

9Ibidem.

10p. 114.

11p. 123

12Ibidem.

13pp. 126–127.

14p. 130.

15p. 132.

16p. 131. Kac si riferisce al testo Paul Virilio, L’inertie polaire, Paris, Christian Bourgois Éditeur, 1990. Si veda anche Paul Virilio, Estetica della sparizione, Napoli, Liguori, 1992.

17Si vedano Jean Baudrillard, Simulacres et simulation, Paris, Galilée, 1981; Jean Baudrillard, Simulacri e impostura. Bestie, beaubourg, apparenze e altri oggetti, Milano, Pgreco, 2000; Jean Baudrillard, La scomparsa della realtà. Antologia di scritti, Milano, Lupetti, 2009.

18Sulla discussione su reale e virtuale, in particolare: Tomás Maldonado, Reale e virtuale, Milano, Feltrinelli, 1992; Pier Luigi Capucci, Realtà del virtuale. Rappresentazioni tecnologiche, comunicazione, arte, Bologna, Clueb, 1993; Gabriella Belotti (a cura di), Del Virtuale, Milano, Il Rostro, 1993; Philippe Quéau, Le virtuel: Vertus et vertiges, Paris, Champ Vallon-INA, 1993; Franco Berardi, Mutazione e cyberpunk, Genova, Costa&Nolan 1994; Pierre Lévy, Qu’est-ce que le virtuel?, Paris, La Découverte, 1995 (trad. it in Il virtuale, Milano, Raffaello Cortina, 1997). C’è inoltre il lavoro di Antonio Caronia. Di questo autore su questo argomento si veda: Archeologie del virtuale. Teorie, scritture, schermi, Verona, Ombre Corte, 2001.

19p. 137.

20Elly R. Truitt, Medieval Robots: Mechanism, Magic, Nature, and Art, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 2015.

21Dal 31/10/2015 al 28/02/2016 allo ZKM a Karlsruhe si è svolta una mostra sugli automi arabi medievali. Si veda il catalogo: S. Zielinski, P. Weibel (a cura di), Allah’s Automata. Artifacts of the Arab-Islamic Renaissance (800–1200), Ostfildern, Hatje Cantz, 2015.

22“Robot” viene dal ceco robota, che significa “lavoro pesante” o “lavoro forzato”, termine introdotto nel 1920 dallo scrittore Karel Čapek nel dramma in tre atti R.U.R. (Rossumovi univerzální roboti).