Dopo alcuni anni di lavoro è finalmente stata pubblicata, nella collana editoriale <mediaversi> da me diretta, coprodotta da Noema e dall’editore Clueb, l’edizione italiana del celebre volume di Gene Youngblood Expanded Cinema, originariamente pubblicato negli Stati Uniti nel 1970. Il volume, di cui ho curato insieme a Simonetta Fadda l’edizione italiana, con un glossario di Francesco Monico, è una pietra miliare degli studi sul cinema e più in generale sulle forme artistiche tecnologiche. A partire dalla prefazione di Richard Buckminster Fuller.

Un estratto dalla mia presentazione all’edizione italiana.

 

Expanded Cinema. Beyond Cinema
Pier Luigi Capucci

Expanded Cinema, che abbiamo il piacere di offrire al lettore italiano per la prima volta, è uscito nel 1970, oltre quattro decadi fa1. Nonostante venga citato in saggi e articoli sul cinema e costituisca un riferimento importante, a differenza di altri studi non è mai stato tradotto in italiano. Un po’ come se il mondo su cui il libro poggia – le avanguardie statunitensi degli anni ’60, le relazioni tra forme artistiche, cinema e video, le intuizioni di McLuhan, l’apporto dei new media e delle tecnologie di imaging e di comunicazione, le problematiche dei mass media, le relazioni tra arti e scienze, le visioni di Buckminster Fuller (sua la bella introduzione all’edizione originale, che abbiamo mantenuto nella traduzione italiana)… – riguardasse solo marginalmente il cinema, l’audiovisivo e la cultura in generale, fosse da ritenere estraneo o addirittura inutile.

Questa diffidenza culturale è stata superata nella realtà dei fatti e delle forme – espressive, di comunicazione, artistiche… – della contemporaneità. Youngblood anticipa, da quella che chiama “Età paleocibernetica”2, visioni e situazioni che sono ormai effettive, quotidiane e centrali nella nostra vita.

 

Cinema e oltre. Arte, media, tecnologie

Da un punto di vista generale Expanded Cinema presenta un approccio aperto nei confronti dell’apporto che i nuovi strumenti possono dare alla creatività. Le tecnologie sono l’anima del nuovo, il motore dell’innovazione, rimodellano continuamente la dimensione materiale della società, la conoscenza, il corpo, gli strumenti e i dispositivi, modificando quelli esistenti e creandone di nuovi. Il computer, il video, la realtà virtuale, l’olografia, e più in generale le tecnologie di rappresentazione, “espandono il cinema” perché creano forme espressive che istituiscono modalità di realizzazione, fruizione, distribuzione e condivisione che sono al di fuori del cinema. E aprono orizzonti teorici, culturali, estetici, sociali ed economici nuovi.

Tuttavia, il cinema è “espanso” non solo perché abbraccia le tecnologie, ma anche per la prospettiva generale che pervade il volume di Youngblood, che a nostro avviso ne costituisce un tratto fondamentale: l’intima commistione tra forme comunicative, artistiche, scienze e tecnologie: “Non è più possibile parlare d’arte escludendo la scienza e la tecnologia.”3 Il “cinema espanso” non conosce steccati e pregiudizi: tra gli autori che Youngblood considera figurano personalità ibride, poliedriche, difficili da inquadrare, marginali o del tutto estranee rispetto al mondo del cinema, oppure note in altri ambiti artistici. Per fare solo qualche nome: Andy Warhol, Terry Riley, Nam June Paik, Michael Snow, Otto Piene, Aldo Tambellini, John Cage, Wolf Vostell, Allan Kaprow, il gruppo E.A.T. fondato da Robert Rauschenberg…

Questo sincretismo è evidente soprattutto nel capitolo dell’“arte intermediale” (l’uso simultaneo di vari media per offrire un’esperienza ambientale, totale4), un insieme di varie forme espressive in stretta relazione con il contesto, dove l’ambiente urbano o naturale entra a far parte dell’opera: “Saranno create esperienze cinematografiche, nelle quali ci sarà una relazione strettissima tra il film e la struttura che lo ospita.”5 In questi ambienti la dimensione sensoriale e l’esperienza sinestetica sono fondamentali, come nell’installazione Cerebrum descritta da Youngblood, una sorta di teatro psicologico/performance/happening multimediale e polisensoriale dove le persone interagiscono tra loro e in cui ha luogo una continua stimolazione sensoriale, anche di natura erotica6. L’artista diviene una sorta di ecologo:

<<Da alcuni anni, l’attività dell’artista nella nostra società si è avvicinata sempre di più a quella di un ecologo, un individuo che si occupa delle relazioni all’interno dell’ambiente. L’ecologia è per definizione la totalità o il sistema delle relazioni tra gli organismi viventi e l’ambiente. Perciò, la creazione per il nuovo artista non consiste tanto nell’invenzione di nuovi oggetti, ma nella scoperta di relazioni precedentemente sconosciute tra i fenomeni esistenti, sia fisici che metafisici>>.7

Per Youngblood arte, comunicazione e tecnologia costituiscono elementi fondamentali e strettamente correlati, strumenti per il raggiungimento di una Cosmic Consciousness, di una coscienza, di una consapevolezza, globale, riecheggiando la definizione che Marshall McLuhan dà della figura dell’artista. Per McLuhan è l’artista a incarnare la figura ideale di interprete e guida, dato che “l’artista è sempre impegnato a scrivere una minuziosa storia del futuro perché è la sola persona consapevole della natura del presente”. E ancora: “L’artista è l’uomo che in qualunque campo, scientifico o umanistico, afferra le implicazioni delle proprie azioni e della scienza del suo tempo. È l’uomo della consapevolezza integrale”8.

Dunque, nei confronti di media e tecnologie bisogna diventare “artisti”, utenti e autori consapevoli, non restare spettatori passivi ma essere fruitori attivi, responsabili e autonomi utilizzatori di quegli strumenti: “Se si vuole parlare di arte, si tratta dell’arte di vivere creativamente contrapposta a un’esistenza passiva e condizionata”9. Attraverso le possibilità offerte dai media dobbiamo sviluppare creativamente un linguaggio personale, secondo Youngblood una sorta di “cinema personale” (oggi chiameremmo questi sistemi “personal media”). Una posizione che anticipa i movimenti cyberpunk degli anni ’80, di cui Youngblood può essere considerato mentore10, impegnati a modificare i media dall’interno cercando una reciprocità comunicativa (oggi la chiameremmo “interattività”): “All’opposto dell’ideologia delle grandi compagnie televisive (l’irreversibilità della comunicazione), questi network posseggono due volti, non c’è più una linea netta di demarcazione fra produttore e fruitore”11.

Youngblood ha sempre mantenuto un atteggiamento critico nei confronti della fruizione televisiva, e più in generale sull’impatto dei mass media, impegnandosi pubblicamente a favore della democratizzazione dell’informazione e della creatività, ed è stato – ed è tuttora – uno dei più noti anticipatori e fautori della “democrazia dei media”.

<<Oggi esistono gli ambienti hardware e software in cui poter acquistare un film con la stessa facilità con la quale si acquistano libri e dischi. […] Il fattore decisivo della fine del cinema e della televisione che conosciamo è la possibilità di scegliere l’informazione invece di essere schiavi delle programmazioni delle trasmissioni di diffusione di massa o dei piani della distribuzione, determinati da convenzioni e da fini economici. Questa possibilità rivoluzionaria esiste già, anche se gli apparati militari/industriali ci impediscono di vederla>>.12

E sulla televisione, e più in generale sulla “videosfera”, riprendendo McLuhan sull’idea dei media come estensioni del corpo e dei sensi:

<<Credo che il termine “videosfera” sia uno strumento concettuale utilissimo per indicare la portata enorme e l’influenza che la televisione ha contemporaneamente in molti campi di estensione sensoriale, su scala globale. Come il computer, la televisione è una straordinaria estensione del sistema nervoso centrale dell’essere umano. Proprio come il sistema nervoso centrale rappresenta il dispositivo analogico del cervello, la televisione in simbiosi con il computer diventa il dispositivo analogico del totale dei cervelli dell’umanità intera. Essa estende la nostra vista fino alla stella più lontana, fino alle profondità dell’oceano. Ci permette di vedere noi stessi e, attraverso le fibre ottiche, di vedere nel nostro interno. La videosfera trascende la telepatia>>.13

Tutto ciò contribuisce ad ampliare il significato della locuzione “cinema espanso”, il ruolo del cinema diviene quello di un incubatore delle forme mediali tecnologiche contemporanee14. In questo senso le idee di Youngblood anticipano riflessioni molto più recenti, sia per quanto riguarda gli studi cinematografici sulle tecnologie audiovisive sia per quanto riguarda l’evoluzione dei new media dal cinema (si pensi, ad esempio, al contributo di Lev Manovich in questa direzione15). E nel mettere in rilievo, anche attraverso l’analisi dei lavori di numerosi artisti, la continua sperimentazione sulle forme e l’ibridazione di media e tecnologie, il lavoro di Youngblood anticipa quel campo artistico, oggi rilevante, generalmente conosciuto col nome di “new media arts”.

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Note

1 Gene Youngblood, Expanded Cinema, New York, P. Dutton & Co., 1970.

2 Nella Prefazione, p. 23, e passim.

3 Nella Parte Settima, p. 332.

4 Nella Parte Sesta, p. 285.

5 Idem, p. 288.

6 Idem, p. 291.

7 Idem, p. 283.

8 Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Milano, Garzanti, 1977, p. 71.

9 Nella Parte Seconda, p. 99.

10 Per esempio si veda Fe Rakushan, “Liner Notes”, in Elisa Rose, Gary Danner (a cura di), Station Rose, Wien, Gawlik-Schorm, 1989, p. 24, catalogo della mostra omonima.

11 Armin Medosch, corrispondenza personale, febbraio 1990.

12 Nella Parte Seconda, p. 96.

13 Nella Parte Quinta, p. 209.

14 In particolare la grande rassegna allo ZKM – Center for Art and Media (Karlsruhe, 19 novembre 2002 – 30 marzo 2003), documentata nel catalogo omonimo, Jeffrey Shaw, Peter Weibel (a cura di), Future Cinema. The Cinematic Imaginary after Film, Cambridge (Ma.), ZKM – MIT Press, 2002, ha raccolto, anche all’interno di una prospettiva storica, esempi e sperimentazioni che hanno cercato andare oltre le peculiarità e i limiti del linguaggio cinematografico.

15 Ci riferiamo in particolare alla centralità del cinema rispetto all’evoluzione dei new media in Lev Manovich, Il linguaggio dei nuovi media, Milano, Olivares, 2002. Va tuttavia detto che accanto a questa posizione ve ne sono altre, come per esempio quella che sostiene la discendenza dei new media dal teatro e più in generale dalle arti dello spettacolo. Si veda in proposito Andrew Darley, Videoculture digitali. Spettacoli e giochi di superficie nei nuovi media, Milano, Franco Angeli, 2006. E anche Armando Menicacci, Emanuele Quinz (a cura di), La scena digitale. Nuovi media per la danza, Venezia, Marsilio, 2001; Antonio Pizzo, Teatro e mondo digitale, Venezia, Marsilio, 2003; Maia Borelli, Nicola Savarese, Te@tri nella Rete, Roma, Carocci, 2004.

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