Giovedì 25 novembre ero a Padova, all’inaugurazione della mostra “Malek Pansera. Percorsi e scoperte. Dal manuale al concettuale 1970-2007” che il Comune di Padova ha voluto dedicare a Malek Pansera, presso la Galleria Cavour. La mostra, aperta fino al 16 gennaio 2011, celebra quasi quarant’anni di attività di questa figura eclettica di artista/pittore/scultore e straordinario bricoleur, tra i più interessanti dell’ultimo ventennio, nato a Selva di Valgardena nel 1940 e padovano d’adozione dal 1980 fino alla morte nel 2008. Oltre a un mio testo nel catalogo il mio compito era quello di presentare al pubblico il lavoro dell’artista, forse anche perché conoscevo Malek dalla fine degli anni ’80 e ho accompagnato una parte del suo percorso umano e artistico frequentando la sua casa, il suo studio, scrivendo dei testi sul suo lavoro, testi che sono stati pubblicati in vari cataloghi delle sue mostre.

 

Malek Pansera, Superfici acute rosso, 2003, stecchini su multistrato, acrilici

 

Di seguito il testo che ho scritto per il catalogo della mostra [Rossella Delaidini, Giorgio Segato (a cura di), Malek Pansera. Percorsi e scoperte. Dal manuale al concettuale, Padova, Comune di Padova, 2010].

Malek Pansera: verso l’essenza dell’arte e le radici della creatività

Passare attraverso le porte dischiuse dalle opere di Malek Pansera è come compiere un viaggio ad un tempo storico e affettivo fino alle radici più generali della creatività. Un viaggio storico perché il percorso di Pansera attraversa varie avanguardie artistiche senza mai fermarsi e chiudersi, ma finalizzando quegli stilemi al proprio operare, dispiegando un discorso di ricerca continuo e affascinante che tuttavia non sacrifica mai uno stile personale e riconoscibile.
Lo stile di Malek Pansera risiede nella varietà, ma in questa varietà vi sono degli invarianti. Nel 1995 scrivevo che nel suo lavoro il concetto di “stile”, inteso come continuità di impiego di segni, strumenti, tecniche e materiali, è limitante, e che egli è più interessato al discorso complesso e articolato che motiva il suo operare. “Il fil rouge che unisce le sue opere” – scrivevo allora – “è quindi un fare che si dispiega per corsi e ricorsi, per destabilizzazioni tecniche, espressive, stilistiche, per reinterpretazioni e decontestualizzazioni. È come se egli, nella migliore tradizione della ricerca, mettesse continuamente in discussione, reinterpretandolo da più punti di vista, quel discorso, aperto, disponibile, generoso, in un equilibrio dinamico e quasi solare tra le costrizioni tecnico-strumentali del fare e la libertà del pensare. Le opere mostrano così una distanza e nel contempo una continuità: una distanza stilistica, tecnica e formale, e una continuità tematica, i cui contenuti provengono da quel continuo speculare” [1].

 

Malek Pansera, Le Basiliche (particolare), 1982, acrilici, carta su tela

 

Questa ecletticità, la capacità di creare con strumenti, tecniche, mezzi e materiali molto diversi fra loro, è un punto di forza del lavoro di Malek Pansera, nonostante venga talvolta considerato negativamente nel mondo dell’arte: l’universo artistico e il suo mercato sembrano infatti apprezzare di più coloro che raggiunto uno stile lo ripropongono con qualche limitata variazione, rendendolo sempre facilmente riconoscibile. Questo “ritorno del già noto” è in realtà tipico di tutte le forme espressive, della letteratura, del cinema, ed è un topos fondamentale anche delle forme comunicative. La riconoscibilità di Pansera non è legata alla facilità dell’occhio e al ritorno del già noto, bensì a ciò che sta a monte, che viene prima: i temi, i colori, le forme, i materiali, le passioni, l’affettività. Si può dire che la personalità artistica di Malek Pansera si sia nutrita dello scorrere delle forme e dei modi dell’arte senza tuttavia mai legarsi a nessuno di essi in particolare, rimanendo libera e aperta.

 

Malek Pansera, Romanzi & romanzi, poltrona, acrilici, pennarelli

 

Ma entrare nel mondo di Malek Pansera implica anche un viaggio affettivo, perché il navigare tra le sue forme dell’arte non sacrifica mai quella che potrebbe essere chiamata un’affettività del fare. Questa affettività si dispiega in primo luogo in una dimensione estetica evidente, in un gusto straordinario per le forme, i colori e i materiali. Consideriamo, per esempio, la dimensione cromatica delle sue opere: quei rossi, quei gialli, quei blu, quei bianchi e quei neri, in tutta la loro varietà e nei loro accostamenti… tutto risuona, intriga, incanta, in ogni tecnica che Malek impiega.

 

Malek Pansera, Superfici blu, 2004, stecchini su multistrato e acrilici

 

A questa prima affettività, legata alla capacità cromatica, si aggiunge una notevole capacità formale, che rende i suoi lavori sempre “in equilibrio”, in un equilibrio che non è mai banale ma tende sempre a qualcosa d’altro senza rinunciare a una sorta di classicità, alla poesia del suo modo di essere come si deve. Questa poesia della forma, questa levità performativa, finisce col creare un distacco lirico che porta a vedere quelle forme, nella loro affettività, come interpreti di un mondo surreale, o onirico, oppure letterario… Come se il reale non fosse ciò che mette alla prova e delude la vita, ma ciò che la innalza, che la esalta, che la seduce, che la trascende, che sta sopra di lei in un dominio di simboli profondamente umano e pieno di passione.

 

Malek Pansera, Superfici in-quiete, 2005, stecchini su multistrato e acrilici

 

Un’ulteriore dimensione affettiva risiede nella materia e nella sua organizzazione. Anche qui siamo davanti a una grande varietà di materiali e di tecniche, come se l’artista fosse alla ricerca del più ampio numero di possibilità per rappresentare le emozioni. Ma è nei materiali del quotidiano, in quelli transeunti e residuali che questa affettività emerge più limpidamente: punti metallici, sottili striscioline di giornale, scontrini, stuzzicadenti… il quotidiano senza storia e senza importanza si fa arte. Malek sa vedere quel quotidiano che si perde senza lasciare traccia, lo intuisce dietro agli oggetti destinati all’oblio. Così ne raccoglie i lacerti e li organizza nelle opere, come a fondare una qualche forma di memoria sulla parte meno solida e più fragile della nostra umanità, una sorta di arte della caducità. Come ho avuto occasione di scrivere, “le opere di Malek Pansera scaturiscono anche dall’attitudine creativa nei confronti della materia del quotidiano. Testimoniano di un’attenzione verso il quotidiano che ha profonde valenze emotive che poggiano sul vissuto, sul sociale, un’attenzione che è rilevante anche dal punto di vista sociologico. Così, nelle “superfici”, degli umili oggetti del quotidiano – graffette, scontrini, stuzzicadenti… – assurgono a particelle costitutive elementari delle opere, a tasselli di significato inscritti in racconti il cui senso complessivo è il dispiegarsi del quotidiano, continuamente sommosso, perturbato, scosso dagli accidenti, dalle occorrenze, dagli imprevisti, dalla complessità dell’esistenza.” [2] In questa affettività del quotidiano, in questa nobilitazione di quel che non assurge alla memoria, i residui senza storia e senza futuro del reale umano diventano interpreti di un metamondo ideale creato dall’arte, un mondo magico alla rovescia dove le tracce di attività apparentemente senza importanza assurgono a documento, a monumento e ad arte, in un gesto appassionato carico di pathos e di carità (nell’accezione latina del termine).

 

Malek Pansera, Pane e dolci, 2003, scontrini, veline stampate a secco, acrilici su multistrato

 

La ricerca di Malek Pansera, tuttavia, possiede una dimensione più generale, globale. Le opere, la maniera in cui sono realizzate, le forme e le texture, presentano spesso delle analogie con fenomeni naturali e aggregati inorganici (i gorghi, i fluidi, i cristalli), con fenomeni biologici (le forme cellulari, le tracce lasciate dall’attività animale e umana sul corpo fisico del territorio) o con fenomeni matematici e algoritmici (come la visualizzazioni informatica di funzioni logico-matematiche e frattali). Tutto ciò va al di là della mera dimensione antropica, implica una concezione della creatività più estesa e generale. Nel testo citato all’inizio concludevo scrivendo che “le opere di Malek Pansera suggeriscono in fondo come alla base di tutte le modalità dell’esistere vi sia un unitarietà fondamentale, una matrice comune, una sorta di alfabeto condiviso, di espressività generale dell’esistenza che accomuna le volute di fumo e le forme organiche della biologia, i gorghi d’acqua o delle nuvole e le svariate occorrenze del linguaggio simbolico umano. Questa creatività, condivisa dall’esistente fenomenico qualunque sia la sua origine e specificità, è nel cuore dell’operatività della natura, è quell’oscuro e misconosciuto territorio nel quale prendono forma la cognizione, la coscienza, da cui scaturiscono quelli che chiamiamo, nel nostro gergo simbolico, il ‘sentimento’, ‘l’amore’, il ‘sacrificio’, la ‘passione’, la ‘creatività’ il ‘desiderio’, le ‘affinità’…?La combinatoria degli elementi e dei loro opposti, i meccanismi di trasmissione al caos che informano i fenomeni naturali e gli organismi viventi, la complessità dell’esistente, la nostra responsabilità nei confronti del mondo e insieme la nostra relatività, l’angoscia del tempo per chi ha la consapevolezza del passato e del futuro… Tutto scorre davanti agli occhi della nostra ottusità e della nostra meraviglia, come in un affresco rinascimentale. Pansera è la dimostrazione, rara, di come con la pittura sia ancora possibile fare discorsi a tutto campo, assoluti, generali, su questioni complesse e globali.” [3]

Pier Luigi Capucci
Milano Marittima, Agosto 2010

 

Malek Pansera, Titan, 1995, legno, smalti, graffe metalliche

 

Note

1) “Il discorso del mondo”, in AAVV, Ostaggi del tempo, Padova, Comune di Padova, 1995, p. 10. Il testo è stato ripubblicato in seguito sulla rivista Art in Italy, n. 8, agosto 1996 e poi sul web all’indirizzo http://www.caldarelli.it/pansera/pansera.htm.
2) “Le superfici in-quiete”, in Giorgio Segato (a cura di), Malek Pansera, Palermo, Arkhadia, 2006, p. 15.
3) “Il discorso del mondo”, in AAVV, op.cit., p. 14.

Ulteriori immagini della mostra sono in FaceBook e nel blog Vernissages e dintorni.