
E’ uscito un paio di settimane fa per i tipi di Mimesis il libro Filosofie di Avatar, a cura di Antonio Caronia e Antonio Tursi, che racoglie riflessioni a più voci – non tutte concordanti – sull’ormai celeberrimo film. Il volume raccoglie interventi di Alberto Abruzzese, Massimo Canevacci, Massimiliano Cappuccio, Pier Luigi Capucci, Giuseppe Frazzetto, Gino Frezza, Derrick de Kerckhove, Giuseppe O. Longo, Michel Maffesoli, Franco Marineo, Mario Pireddu, Alberto L. Siani, Luisa Valeriani, Slavoj Zizek.
Di seguito la quarta di copertina e l’introduzione.
“Avatar segna una rivoluzione nel cinema e nell’immaginario. Non certo inattesa, ma non per questo meno radicale. Le nuove tecniche 3D creano per lo spettatore situazioni di coinvolgimento e di immersione prima impensabili. Tutto il sistema di produzione e di distribuzione è stato sconvolto e ridisegnato dal film di Cameron. In questo nuovo intreccio fra immaginario, tecnica e produzione, il cinema si riconferma snodo centrale dell’industria culturale – e quindi anche indice, sintomo e forza propulsiva di qualcosa che va al di là di essa.
Dietro e a lato delle ingenuità e delle semplificazioni del film, Avatar solleva temi e problemi di ordine filosofico, sociale e politico su cui riflettere è urgente e necessario. Una prima proposta di riflessione è contenuta in questo libro, a opera di una pattuglia (composita ma non estemporanea) di studiosi di differenti generazioni e di diverse estrazioni. Che cosa riprende e che cosa supera, il film, della tradizione dell’immaginario cinematografico? Come presenta e come ridisegna i problemi dell’immaginazione ecologica del pianeta? Che modelli di agire politico e di organizzazione sociale mette a confronto? Ma uno dei nodi centrali di Avatar, uno dei suoi aspetti più inquietanti e affascinanti, è forse il fatto che ci propone una storia di transizioni, di ibridazioni fra umano e non umano, che ci parla della necessità di attraversare una soglia costantemente mobile e instabile in cui la nostra identità vacilla ma non si perde, è sfidata ma al tempo stesso esaltata. Con Avatar stiamo forse entrando davvero nell’era del postumano.”
“Introduzione
Non tutti i blockbuster meritano pagine e pagine di analisi accanite, di ricami filologici, di riflessioni pervicaci. O forse sì. Ma non tutti li meritano allo stesso modo. Perché non tutti hanno lo stesso tasso di innovazione dell’immaginario, non tutti segnano la stessa inaspettata concordanza con le aspettative inespresse o mascherate che si agitano sotto la superficie del già visto.
Quando siamo andati a vedere Avatar, siamo usciti con la convinzione confusa ma indiscutibile di aver assistito a uno di questi eventi: all’affiorare forse timido ma già delineato di un nuovo regime dell’immagine, all’albeggiare di una nuova sensibilità, a un intreccio ancora poco descrivibile ma evidente di storie e di modalità espressive. Con diramazioni e ricadute in campi disparati delle teorie e delle pratiche. E abbiamo pensato che non potevamo aspettare, che dovevamo verificare se queste sensazioni così poco definite fossero condivise da ricercatori e studiosi che stimavamo, o che ritenevamo comunque rappresentativi di metodologie di ricerca che avevano prodotto (o stavano producendo) riflessioni significative sulla contemporaneità.
Il primo risultato di questa ricerca è il libro che avete in mano. Esso non conferma né smentisce in modo definitivo le nostre prime, ingenue ipotesi. Ma consente di metterle alla prova con diverse metodologie di indagine, come fanno i testi che qui sono raccolti. I giudizi sul film, come leggerete, non sono unanimi. C’è chi non è disposto ad accreditare al film alcun interesse che non sia la conferma di un discorso già espresso – si tratti dell’inveterato pregiudizio sul “selvaggio” malamente travestito, o di un maldestro e retorico “marxismo hollywoodiano”. Altri vedono Avatar come la conclusione e l’epitome di un immaginario già sperimentato, piuttosto che come l’avvisaglia del nuovo. Alcuni si interrogano sulla possibilità di un mondo mediale dal quale scompaiano il racconto e il mito.
Tuttavia, anche le considerazioni più negative e critiche riconoscono l’importanza dell’intreccio che Avatar realizza fra una nuova tecnologia e un concentrato di immaginario così distillato e pervasivo. Molti interventi si pongono una domanda simile, variamente espressa: dove sta, in Avatar, il punto di equilibrio fra la tradizione e l’innovazione? Il film di Cameron, in effetti, attraversa e connette diversi percorsi dell’immaginario letterario, filmico e fumettistico. Ma in molti concordano sull’ipotesi che la nuova tecnologia usata (il 3D – per quanto ambiguo e forse anche fuorviante possa essere questo termine) non funzioni, in questo caso, solo come elemento di amplificazione di problemi già posti, di immaginari già confezionati. C’è una connessione, che forse fatichiamo ancora a comprendere in modo chiaro, tra la nuova “profondità di campo” che questo film realizza, tra la proposta di una pratica così contraddittoria come quella di uno “schermo immersivo”, e i mutamenti dei processi di soggettivazione che stiamo vivendo in questi anni. Gli strumenti critici e concettuali usati sono i più vari: dal concetto di re-mediation introdotto da Bolter e Grusin alla “meta-medialità”, dal legame tra estetica ed etica alle teorie sul corpo. E altrettanto vasti sono gli ambiti disciplinari, pluridisciplinari e interdisciplinari in cui gli interventi si muovono, dalla storia e la teoria delle immagini sintetiche all’Intelligenza Artificiale alla biologia. Evidentemente, è proprio l’oggetto dell’indagine, e non solo le competenze e le abitudini dei ricercatori, che sollecitano questo approccio. Non stupirà nessuno (vista la collana in cui appare questo libro e gli ambiti di ricerca in cui si muovono da parecchi anni i curatori) che uno dei concetti che più spesso ricorrono (non sempre, magari, con ambizioni unificatorie) sia quello di postumano.
È scontato che uno dei rischi più evidenti di ogni operazione di questo tipo (la raccolta di interventi di diversi studiosi, con le loro diverse storie culturali e umane, le loro diverse metodologie, i loro differenti campi di interesse) sia l’eterogeneità del discorso che ne risulta, sino ai limiti della confusione. I curatori confidano di essere riusciti almeno a esorcizzare questo rischio, sia per la griglia di temi e domande sulla quale hanno richiesto le collaborazioni, sia per la storia di conoscenze, dibattiti e contatti che caratterizza da anni la grande maggioranza degli intervenuti. Ma, inoltre, un soggetto di indagine come Avatar imponeva, forse più di altri, la pluralità degli approcci. Ci auguriamo quindi che il lettore si senta, se non orientato, almeno interrogato e stimolato. E speriamo che la discussione sull’insieme dei problemi sollevati non si fermi qui, e trovi altre occasioni e altre sedi per continuare. Se non ci fosse altro, è opinione comune che Avatar non rimarrà senza un sequel… ”