
Ho recentemente rivisto Avatar, il film di Cameron, perché dovevo scrivere un saggio che sarà pubblicato in un libro a più voci. Il volume uscirà probabilmente entro maggio, ma voglio brevemente raccontare anche qui qualche idea che mi è venuta. Avatar non esce dal dominio cinematografico, non è nulla di più o di meno di un film. Ma è un film che mette in scena dei mondi inventati ma plausibili nell’immaginario, che è l’espressione attualmente più completa del cinema e delle sue istanze.
Uno dei problemi più rilevanti che l’animazione 3D ha dovuto affrontare è stato quello della rappresentazione realistica della figura umana: spesso i personaggi animati ci sembrano innaturali, improbabili, specialmente nella rappresentazione dei volti. In questi ultimi anni l’animazione del corpo è migliorata specialmente grazie a sistemi di motion capture, che consentono di animare i modelli virtuali a partire dai movimenti del corpo di attori reali. Questa modalità produce in genere risultati più realistici dei sistemi in cui il modello viene animato all’interno del software in maniera indipendente dal mondo fisico, perché rispecchia i movimenti reali di una persona in carne ed ossa che è soggetta alle dinamiche della realtà fenomenica.
In Avatar i Nav’i sono animati mediante un sistema chiamato performance capture in tempo reale, un’evoluzione dei sistemi di motion capture che, tra le altre cose, cerca di preservare la recitazione degli attori reali per dare maggiore presenza e fisicalità ai personaggi virtuali. I Nav’i poi hanno i capelli raccolti in trecce e non indossano vestiti complicati e svolazzanti, il che semplifica l’animazione, e questo, insieme alla pelle e ai grandi occhi di colore diverso rispetto ai nostri e alla maggiore dimensione del corpo allenta gli obblighi del realismo. In secondo luogo, grazie a una speciale videocamera grandangolare posta davanti al volto degli attori è stato possibile catturare i movimenti, la mimica facciale e le espressioni in maniera molto più accurata di quanto fosse mai accaduto prima. E il risultato è convincente, con i personaggi animati che non sono rigidi e schematici ma vivi e presenti nel mondo di Pandora.
L’animazione di Avatar, il suo realismo, la qualità della recitazione dei personaggi virtuali sono allo stato dell’arte grazie anche all’impiego di dispositivi (Performance Capture in Realtime) e speciali videocamere (Simulcam) capaci di mostrare contemporaneamente, integrandoli in tempo reale all’interno della stessa inquadratura, modelli, scenari, personaggi creati al computer e personaggi reali, permettendo dunque un grande controllo dell’interazione tra informazioni referenziali e non referenziali e della regia. Infine una videocamera particolare (3D Fusion Camera) ha consentito di girare contemporaneamente in 2D e in 3D. Avatar, nelle sale che consentono le proiezioni stereoscopiche, mostra di aver compreso perfettamente le problematiche che hanno relegato il cinema stereoscopico nei parchi di divertimento, presentando una terza dimensione sobria, che limita l’invasione dello spazio dello spettatore davanti allo schermo e che nel contempo arricchisce la spettacolarità della narrazione conferendo profondità alla scena.
Avatar è una pietra miliare del cinema, è un film controverso perché mostra che è finalmente possibile creare personaggi virtuali credibili, con comportamenti naturali e capacità di recitazione, in una storia per tutti che al botteghino ha costituito il successo cinematografico più rilevante di tutti i tempi: forse anche per questo il film è stato tenuto a distanza dagli Oscar. Avatar indica una strada che non potrà che essere seguita in futuro, che imprime al cinema una decisa sterzata verso una referenzialità debole o verso la non referenzialità. Il che, tra le altre cose, rende sempre più problematica e sempre meno significativa la distinzione tra “cinema d’animazione” e non, più complessa la definizione di “cinema d’animazione”, e più sottile la differenza tra un film come Avatar e, per esempio, un film come Up di Pixar.