
Ieri, 13 agosto 2009, è morto all’età di 94 anni Lester William Polfuss, statunitense, considerato uno dei più grandi chitarristi di tutti i tempi. Dedicatosi alla musica dall’età di otto anni, a tredici Lester comincia da semiprofessionista a suonare musica country e hillibilly, fino a diventare a Chicago una stella del jazz. A trentatré anni è vittima di un grave incidente che gli impedirà per sempre l’articolazione del braccio destro e del gomito, e Lester chiederà ai chirurghi di fissare il suo gomito a 90 gradi per poter continuare a suonare la chitarra.

Les Paul in concerto
Oltre che un grande chitarrista Lester William Polfuss è stato anche un pioniere dell’elettronica musicale, non solo per le sue sperimentazioni sulla chitarra e sugli effetti sonori ma anche per l’invenzione della registrazione multitraccia in campo musicale – alla base degli odierni studi di registrazione – cioè della possibiltà di incidere diversi strumenti, anche in momenti diversi, su canali separati e indipendenti in maniera non distruttiva, sperimentazione che porterà alla fine degli anni ‘40 alla realizzazione del primo registratore magnetico multitraccia ad opera di Ampex. Oltre che estendere enormemente le possibilità compositive la registrazione multitraccia ha reso lo “studio d’incisione” un vero e proprio metastrumento con cui costruire letteralmente il sound di un gruppo, con cui creare uno spazio sonoro del tutto indipendente dalla dimensione reale, tipicamente sincrona e diretta, del concerto live.
Ma oltre a tutti questi meriti Lester William Polfuss resterà nella storia della musica anche per un altro motivo e con un altro nome, quello che si era scelto come stage name: “Les Paul”. “Les Paul” è infatti il nome di una mitica linea di chitarre prodotte da Gibson grazie alla sua collaborazione, che nelle decine di modelli che sono stati realizzati a partire dal 1952 e che tuttora vengono costruiti oltre a costituire, insieme alle chitarre Fender e Rickembaker, un pilastro della storia della musica rock e pop, continua a rappresentare il sogno dei chitarristi di tutto il mondo.

La Gibson Les Paul GoldTop del 1952
Alla fine degli anni ‘40 la musica live (in particolare il jazz, il country e il blues) si stava trasformando. Fin dagli anni ‘20 e poi per tutti i ‘30 si era sviluppata la richiesta di chitarre dalla voce più potente e squillante, in grado di suonare nelle big band, in situazioni live, di adattarsi alle richieste dell’industria discografica e alle trasmissioni radiofoniche. Inoltre, suonare dal vivo richiedeva un’amplificazione che col crescere della potenza generava dei problemi. Il suono della chitarra poteva ovviamente essere amplificato con dei normali microfoni, oppure, meglio, mediante degli speciali microfoni posti sotto alle corde, che ne rilevavano le vibrazioni: i pickup elettromagnetici, appositamente inventati negli anni ‘30 e in grado di trasformare le vibrazioni delle corde metalliche in impulsi elettrici (nel 1931 Rickembacker aveva messo in commercio una chitarra con questi microfoni). Tuttavia, le chitarre avevano una forma sostanzialmente tradizionale, cioè erano dotate di una cassa armonica vuota che l’amplificazione sonora faceva entrare in risonanza, innescando un circuito di retroazione acustica autoalimentato che influenzava pesantemente la timbrica e che, nel peggiore dei casi, generava quei fischi fastidiosi e laceranti che spesso si sentono nei convegni, nei comizi, ai concerti…: il famigerato effetto Larsen (molto tempo dopo proprio questo effetto deprecato sarebbe stato utilizzato in maniera controllata dai chitarristi rock, tra i più celebri Jimi Hendrix, per estendere le possibilità timbriche dello strumento).
Per ovviare a tutto questo Fender costruì, commercializzandola nel 1950, la Telecaster, la prima chitarra elettrica solid body, che invece della tradizionale cassa acustica vuota aveva un corpo in legno pieno. Una chitarra pensata per essere amplificata, che senza amplificatore era senza voce. Il grande successo commerciale di questo strumento influenzò gli altri produttori e Gibson, nel 1952, grazie alla collaborazione con Les Paul, chitarrista, sperimentatore e inventore, introdusse la linea che porta il suo nome. Così nacque lei, la Gibson Les Paul, mirabile concentrato di liuteria di grande qualità e pregio, di elettronica, meccanica e design – quella forma meravigliosa, nuova e insieme classica, sinuosa, tra violino e chitarra – con quella timbrica dolce e piena che poteva farsi improvvisamente graffiante, ululante o cupa, con quel sustain unico. Uno strumento che si è declinato in un gran numero di modelli restando tuttavia pressoché invariato nella forma per oltre 50 anni e che è ancora in produzione. Le Les Paul, al pari delle Fender, divennero un mito, usate dai più grandi chitarristi che ne apprezzavano le qualità costruttive, la suonabilità, le capacità timbriche, la ricchezza espressiva, che le rendevano strumenti d’elezione in molti campi, dal jazz al rock, dal country al blues, dal metal al progressive, al punk, fino alle forme elettroniche contemporanee. Dunque, oltre che nella storia della musica moderna, Lester William Polfuss, Les Paul, vivrà per sempre anche nelle “sue” chitarre e nelle loro sonorità, nei sogni dei giovani chitarristi e nelle ambizioni dei grandi professionisti. Sarà lì ogniqualvolta sul palco o in studio verrà suonato un riff, un assolo, un accordo… con quella nota, con quel sound.

Alcuni modelli di Les Paul
[Dietro a questa breve rievocazione c’è una passione che ha a che fare con la mia vita personale. Come molti dei miei studenti di oggi anch’io all’università ho fatto parte di gruppi musicali. Suonavo la chitarra da diversi anni e a un certo punto fu necessario che mi dotassi di uno strumento professionale. I chitarristi che mi piacevano usavano le Les Paul, ma anche i modelli più economici erano semplicemente inarrivabili per me (le Les Paul sono chitarre piuttosto costose). Ma sentivo che dovevo averla, e un giorno il proprietario di un negozio di strumenti musicali mi telefonò dicendomi che ne aveva una usata.

In concerto
Era una meravigliosa Les Paul Deluxe, di cui mi innamorai subito. Riuscii a comprarla, anche perché all’epoca non era ancora scoppiata la febbre degli strumenti vintage, che oggi fa sì che chitarre vecchie di 30, 40 o più anni se ben conservate, funzionanti e originali possano raggiungere quotazioni fino a venti volte superiori a quelle degli stessi modelli nuovi. Una febbre in parte giustificata dal fatto che i materiali, i legni, le vernici, le qualità artigianali e costruttive di quelle chitarre sono migliori che negli odierni processi industriali di produzione, dunque, come avviene per altri strumenti lignei di pregio, l’invecchiamento li migliora rendendo le loro qualità sonore superiori a quelle degli stessi strumenti nuovi.

In concerto
Dunque – era il 1980 – avevo finalmente una Les Paul, la stessa chitarra di Jimmy Page, di Peter Townshend, di Robert Fripp e Steve Hackett (anche se il primo degli ultimi due usa il modello Custom e il secondo lo Standard), di Eric Clapton, The Edge, Duane Allman, Carlos Santana, Neil Young, Slash, Bob Marley…
Oggi quella chitarra vale molto di più di quanto l’ho pagata, ho scoperto che probabilmente è stata costruita nel 1969, il primo anno di fabbricazione di quel modello, ma questo non importa. L’ho suonata molto fino all’84, poi sempre meno fino al ‘92, e infine, entrando definitivamente nella vita in cui sono adesso, non ho più avuto tempo per lei.

La mia Les Paul Deluxe
Anche se da allora non l’ho più toccata, non l’ho mai venduta, come invece ho fatto con un’altra chitarra che possedevo, sempre Gibson, e ho ancora tutta la strumentazione (amplificatore, effetti, cavi, ecc.) quasi miracolosamente funzionante dopo tutto il tempo che è rimasta in cantina. E non l’ho mai dimenticata: in una sorta di strana concatenazione di eventi, venerdì della settimana scorsa l’ho portata dal liutaio per farla rimettere in sesto (mi è tornata la voglia di suonarla), martedì di questa settimana l’ho ritirata e giovedì se n’è andato per sempre il vecchio Les Paul, il suo mitico inventore. Che cosa vorrà mai dire tutto questo? Da animale simbolico, come tutti gli umani, non posso fare a meno di chiedermelo.]